Oggi parliamo di un poeta del XVII secolo: Nicolas Boileau-Despréaux (1636 – 1711),
conosciuto semplicemente come Boileau o, talvolta, Despréaux (vedi per esempioVoltaire nell’epistola ad Orazio).
Siamo nel 1666, allorché Boileau pubblica le sue
celebri “Satire”, a pochi anni dalla
morte del cardinale Mazzarino (1661) e quindi nel momento di ascesa definitiva
di Luigi XIV e del suo assolutismo monarchico. Quello che in Italia si chiama
secolo barocco, in Francia sarà il “Grand Siècle”, soprannominato “période
classique”.
Secolo classico perché gli scrittori sono poi divenuti
classici … chi non conosce la triade somma degli autori teatrali francesi:
Corneille, Racine e Molière?
E classico perché dominato dal classicismo, nei temi (si
pensi a Fedra, Britannico, Andromeda, ecc… tutte opere basate su un repertorio
propriamente classico), ma anche nella forma; più che la stravaganza e
l’immaginazione barocca, a dominare la scena è la razionalità, il gusto per la
simmetria, l’ordine, la regola (e di conseguenza, la censura).
Il 600 francese è anche il secolo delle dispute letterarie,
le cosiddette “querelles”, e così
c’è una querelle per il Cid di
Corneille, una querelle per “L’école des femmes” di Molière, una querelle per la doppia “Phèdre” di
Racine e Pradon (chi ha copiato chi?). Ad ogni opera teatrale rappresentata
corrisponde una lotta fra i suoi sostenitori e detrattori ed è la critica letteraria
a farla da padrone.
Ogni pretesto è buono, a partire dalle unità
aristoteliche (tempo, luogo e azione), per non parlare poi della regola di non
mischiare fra loro i generi teatrali (es. il Cid di Corneille è una tragi-commedia, perciò messa sotto accusa), o
ancora quella di rispettare la verosimiglianza, e poi ancora il pubblico
decoro, ecc…
Insomma, questi beneamati autori del XVII secolo
tenevano molto alle regole, ed erano pertanto ligi e intransigenti. Questa loro
inclinazione impregnerà le lettere nazionali fino al Romanticismo, tant’è che
basterà a Bizet mettere in scena davanti al pubblico la morte della gitana
Carmen per suscitare uno scandalo eclatante.
Il nostro Boileau in particolare, si scervellava sul
problema della versificazione, tanto da meritarsi, non a caso, il soprannome di
“legislatore del Parnaso”.
“La rima è una schiava, e deve obbedire”, scriverà
nella sua “Art poétique”.
Un problema, quello della rima, che per chi è del
mestiere rappresenta un grande ostacolo, e che ogni poeta a modo suo deve
risolvere. Solo gradualmente gli autori conquisteranno la facoltà di poter
usare il verso sciolto (ovvero senza rima).
"Per esserti più caro egli ha scosso il giogo della servile rima, e se ne va libero in Versi Sciolti" già scriveva il Parini nel 1763. E nel 1971 Montale poneva fine all'annoso, secolare, per poco millenario problema decretando "Le rime sono più noiose delle Dame di San Vincenzo", mettendole, per così dire, non senza qualche riguardo, alla porta.
Aggiungeva poi, ironico: "prima o poi (rime e vecchiarde) / bussano ancora e sono sempre quelle".
"Per esserti più caro egli ha scosso il giogo della servile rima, e se ne va libero in Versi Sciolti" già scriveva il Parini nel 1763. E nel 1971 Montale poneva fine all'annoso, secolare, per poco millenario problema decretando "Le rime sono più noiose delle Dame di San Vincenzo", mettendole, per così dire, non senza qualche riguardo, alla porta.
Aggiungeva poi, ironico: "prima o poi (rime e vecchiarde) / bussano ancora e sono sempre quelle".
Ma qui siamo nel “lontano” XVII secolo, e nel XVII secolo
delle rime non si può proprio fare a meno. Persino i drammaturghi e i
commedianti scrivevano in rima le loro opere teatrali.
La rima, lo ripetiamo, per Boileau è una schiava, e
deve obbedire!
Una schiava talvolta ribelle, che detta a sua volta
severe leggi, e di cui il nostro legislatore del Parnaso, messo sotto schiaffo,
si lamentava seccato.
La satira che ho scelto da leggere in
questo articolo parla proprio di questo. Fu la seconda scritta da Boileau, nel
1664, dedicata a Molière, il celebre commediografo.
SATIRA II.
1664.
A MOLIERE
ACCORDO DELLA RIMA E DELLA RAGIONE
Spirito raro e famoso, la cui
fertile vena
Scrivendo ignora la fatica e la
pena;
per cui Apollo tiene i suoi tesori
aperti
e che sai con quale conio si fanno i
buoni versi,
nelle battaglie di spirito sapiente
maestro di scherma,
insegnami, Molière, dove tu trovi la
rima.
Si direbbe, quando tu vuoi, che lei
ti venga a cercare.
Mai alla fine di un verso ti abbiamo
visto protestare
e, senza che un lungo periodo ti
arrestasse o ostacolasse,
bastava tu parlassi ed era lei
stessa che ci si piazzava.
Ma a me, che per un vano capriccio,
un bizzarro umore,
per i miei peccati, credo, lei* fece
diventare rimatore, (*la rima, ovviamente)
in questo rude mestiere il mio
spirito si uccide,
invano, per trovarla, io fatico e
sudo.
Spesso ho un gran bel da fare giorno
e notte,
quando voglio dire bianco, la
scontrosa dice nero.
[…]
Infine, qualsiasi cosa faccia o
voglia fare,
la bizzarra sempre viene a offrirmi l’opposto.
Con rabbia qualche volta, non
potendo trovarla,
triste, stanco e confuso, smetto di
pensarci
e, maledicendo venti volte il
demonio che m’ispira,
faccio mille giuramenti di non
scriver mai più.
Ma, dopo aver maledetto sia le Muse
sia Febo,
io la vedo apparire quando non ci
pensavo nemmeno più;
e così, mio malgrado, tutta la mia fiamma
si riaccende;
riprendo sul campo la carta e la
piuma,
e, perdendo il ricordo dei miei vani
giuramenti,
attendo di verso in verso che lei si
degni di venire.
[…]
Con tutte queste belle parole,
spesso messe alla rinfusa,
potrei agevolmente, senza genio né
arte,
spostando cento volte e il nome e il
verbo,
nei miei versi ricuciti fare a pezzi
Malherbe (*poeta tardo-rinascimentale)
ma il mio spirito, tremando sulla
scelta delle parole,
non ne dirà mai una, senza che essa cada
a puntino.
E non saprebbe penare a meno che una
frase insipida
venga alla fine di un verso a
riempire il vuoto;
così ricominciando un’opera venti
volte,
se scrivo quattro parole, ne
cancellerò tre.
Sia maledetto il primo la cui verve
insensata
sul limitare del verso nascose il
suo pensiero
e dando ai versi una stretta
prigione
volle con la rima incatenare la
ragione!
(*qui Boileau maledice chi ha inventato la
rima che nella metrica greca e latina non esisteva)
Senza questo mestiere fatale nel
riposo della mia vita,
i miei giorni, pieni di libertà,
scorrerebbero senza capriccio
non avrei che da cantare, ridere,
bere
e, come un grasso canonico, con
benessere e gioia,
passare tranquillamente, senza cura,
senz’occupazione,
la notte a ben dormire, e il giorno nel
dolce far nulla.
Il mio cuore, privo di angosce,
libero da passione,
saprebbe dare un limite alla propria
ambizione,
e fuggire delle grandezze la
presenza molesta.
[…]
E sarei felice se, per consumarmi,
un destino invidioso non mi avesse
fatto rimare,
ma dal momento che questa frenesia
con i suoi neri vapori turbò la mia
fantasia,
e che un demone geloso del mio godimento
m’ispirò il disegno di scrivere correttamente,
tutti i giorni mio malgrado,
incollato ad un’opera,
ritoccando un punto, tagliando una
pagina,
insomma trascorrendo la mia vita in
questo triste mestiere,
io invidio, scrivendo, la sorte di
Pelletier.
(*Pelletier, poeta di scarsa
qualità, non c’era un giorno in cui non scrivesse un sonetto. Prese la satira
di Boileau come un elogio e la fece riportare in tutte le sue opere)
Ben felice Scudéri, la cui fertile
piuma
può tutti i mesi senza sforzo concepire
un volume.
I tuoi scritti, è vero, senza arte
né languore,
sembrano esser fatti a dispetto del
buon senso,
ma se essi trovassero, checché se ne
possa dire,
un mercante per venderli e dei fessi
per leggerli,
visto che la rima si trova alla fine
del verso
che importa se il resto ci si è
messo di traverso?
Maledetto mille volte colui la cui
mania
volle alle regole dell’arte
asservire il suo genio,
un fesso, scrivendo, fa tutto con
piacere,
non ha nei suoi versi l’imbarazzo
della scelta
e, sempre innamorato di ciò che ha
appena scritto
rapito dallo stupore lui stesso si auto-ammira.
Ma uno spirito sublime che invano
vuol elevarsi
a questo grado di perfezione, non cessa
di cercare
e, sempre scontento di ciò che ha
appena fatto,
piace a tutti e ancora non saprebbe
piacersi.
[…]
Tu allora, che vedi tutti i mali
dove la mia musa di inabissa,
di grazia insegnami l’arte di
trovare la rima;
o poiché infine le tue angosce ci
sarebbero superflue,
Molière, insegnami l’arte di non
rimare più.
Ebbene sì, Boileau invidiava Molière.
Ora, sia chiaro, la maggiorparte dei critici sono
propensi nel ritenere l’invidia di Boileau una vera e propria ammirazione nei
confronti del suo amico e collega. Ma non manca chi invece tende a sottolineare
l’ambiguità di un testo in cui con falsa modestia un grande poeta si rivolge ad
un altrettanto valido versificatore. In particolare ricordiamo Pierre Louÿs e
la sua cerchia di intellettuali che verso la fine dell’800 lo lessero in
maniera ironica, proprio a partire dal genere trattato: la satira.
Boileau, dal canto suo, è diretto, confessa suo
malgrado di non riuscire sempre a scrivere buoni versi e di andare a tentoni … spesso
rinunciando per poi riprendere il lavoro in un secondo momento.
Mi ha ricordato un po’ Orazio che in una sua satira
diceva di Lucilio: “Eccolo, in un’ora, come fosse gran cosa, dettava sovente
200 versi, e reggendosi su un piede soltanto. Siccome scorreva fangoso (lutulentus),
c’erano cose che avresti voluto levare; era ciarliero e insofferente della fatica
di scrivere, di scrivere bene…”
Per i poeti del tempo scrivere velocemente era sintomo
di immaturità poetica e di superficialità, come evidenzia appunto Boileau
facendo l’esempio di Pelletier. La poesia è una cosa posata, soppesata,
sedimentata. E sotto il peso della ragione la rima deve essere effetto di un’attenta
lima.
Ma se volessimo descrivere il rapporto che intercorre fra
Boileau e Molière, non è affatto cosa facile.
Facciamo un passo indietro, ad esattamente un anno
prima, nel 1663.
All’indomani della rappresentazione della discussa “école
des Femmes” di Molière, il nostro Boileau scrive queste stanze:
Invano
mille gelosi spiriti,
Molière,
osano con disprezzo
censurare
la tua più bella opera:
(*in
realtà Molière è ancora all’inizio della sua carriera)
la
sua incantevole ingenuità
andrà
per sempre, di anno in anno,
a
divertire la posterità.
Che
tu ridi piacevolmente!
Che
tu scherzi saggiamente!
Colui
che seppe vincere Numanzia,
che
mise Cartagine sotto la sua legge,
mai
sotto il nome di Terenzio,
sepp’egli
meglio scherzare di te?
(*si
riferisce a Scipione Emiliano che si dice scrivesse le commedie al posto di
Terenzio, che invece fungeva da prestanome)
La
tua musa con utilità
dice
piacevolmente la verità:
ciascuno
approfitta della tua Scuola:
(*riferimento
al titolo “L’école des femmes”)
tutto
in lei è bello, tutto è buono,
e
la tua parola più burlesca
vale
spesso più di un dotto sermone.
Lascia
stare gli invidiosi:
egli hanno ben
da gridare ovunque
che invano
tu edulcori il volgare,
che i tuoi
versi non hanno niente di piacevole.
Se solo tu
sapessi un poco meno piacere alla gente,
non gli
dispiaceresti poi così tanto.
Ci sarebbe ancora molto di cui discorrere ma per non appesantire l’articolo
preferisco chiuderlo qui.
Lascio aperta la domanda: Boileau invidia Molière?
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