Come Marino Moretti vedeva le rose


La poesia, e così la letteratura in generale, ci aiuta ad ampliare i nostri orizzonti, ad avere nuovi occhi e acquisire nuove prospettive. Ogni poeta a suo modo ci trasmette la propria “visione del mondo” (o come dicono i tedeschi: weltanschauung). Ci aveva visto bene Proust quando per descrivere le rose del pittore Elstir nella sua Recherche, aveva detto che esse rappresentavano “una varietà nuova di cui quel pittore, come un ingegnoso orticultore, aveva arricchito la famiglia delle rose”.
E proprio di rose vorrei parlare oggi, anche se con una sottile ironia.


Elogio di una rosa

Rosa della grammatica latina
Che forse odori ancor nel mio pensiero,
tu sei come l’imagine del vero
alterata dal vetro che s’incrina!

Fosti la prima tu che al mio furtivo
Tempo insegnasti la tua lingua morta,
e mi fioristi gracile e contorta
per un dativo od un accusativo.

Eri un principio tu: ma che mi valse
Lungo il cammino il tuo gentil richiamo?
Or ti rivedo e ti ricordo e t’amo
Perché hai la grazia delle cose false!

Anche un fior falso odora, anche il bel fiore
Di seta o cera o di carta velina,
rosa della grammatica latina:
odora d’ombra, di fede, d’amore.

Tu sei più vecchia e sei più falsa: e odori
D’adolescenza e sembri viva e fresca,
tanto che dotta e quasi pedantesca
sai perché t’amo e non mi sprezzi e fori!

Passaron gli anni; un tempo di mia vita.
Avvizzirono i fior del mio giardino.
Ma tu, sempre fedele al tuo latino,
tu sola, o rosa, non sei più sfiorita!

Nel libro la tua pagina è strappata,
strappato è il libro e chiusa è la mia scuola;
ma tu rivivi nella mia parola
come nel giorno in cui t’ho declinata!

E vedo e ascolto: il precettore in posa,
la vecchia Europa appesa alla parete
e la mia stessa voce che ripete:
Rosa la rosa, rosae della rosa …

Questa poesia è tratta dalla sezione “Poesie scolastiche” della raccolta di poesie di Moretti fino al 1914. Moretti appartiene alla corrente del crepuscolarismo, e lo si nota dai toni dimessi e malinconici che emergono anche semplicemente da un ricordo di scuola. Il crepuscolarismo è stato l’ultimo rantolo dei poeti all’alba di un secolo che "avrebbe" fatto tramontare l'idea stessa di poesia.
Fu persino Moretti ad ammettere la presupposta “inutilità” della poesia in un mondo ormai utilitarista e materialista, con la sua celebre sentenza “io non ho nulla da dire”.



Così come nell’articolo di Perec avevo voluto sottolineare il fascino perduto delle cose dimenticate, snocciolato attraverso i ridondanti “je me souviens …”, allo stesso modo oggi mi piace presentare questa poesia all’apparenza banale evidenziandone il suo aspetto malinconico. Anch’essa è a modo suo un “je me souviens”, una cosa che tutti hanno vissuto e che appartiene al nostro bagaglio culturale, condivisa unanimemente nell’immaginario collettivo.

La rosa elogiata da Moretti, l’avrete capito, è la classica prima declinazione che viene insegnata a scuola, ai tempi di Moretti così come ai nostri. Rosa, rosae, rosae, rosam, rosa, rosa, etc.. etc…
È al ricordo di questa declinazione che il poeta associa l’immagine della rosa, descrivendola come un fiore qualsiasi, a partire dal suo odore che sa “d’ombra, di fede, d’amore” o ancora “d’adolescenza”, “viva e fresca, / tanto che dotta e quasi pedantesca”. Ad evidenziare la malinconia ci sono delle perifrasi interessanti, che richiamano un po’ l’immagine della scuola vecchio stampo, con prof bacchettoni e metodi mnemonici, “la vecchia Europa appesa alla parete” (la tipica cartina geografica appesa in classe), “la mia stessa voce che ripete”, “il precettore in posa”…

E nonostante non manchi di domandarsi circa la sua utilità (ma che mi valse / Lungo il cammino il tuo gentil richiamo?), ad una distanza che sembra una vita (Passaron gli anni; un tempo di mia vita), il poeta non può che meravigliarsi di ricordare ancora una cosa così banale, falsa per certi versi, ma comunque vivida nella memoria.
Una rosa che non sfiorisce mai!

Nessun commento:

Posta un commento