Non lasciatevi
spaventare dal nome lunghissimo e neanche dalla mole di versi che seguirà,
perché vi assicuro che la poetessa di cui sto per parlarvi è veramente
emozionante.
Se dovessimo
classificare Marceline Desbordes-Valmore
in una linea temporale è la tipica poetessa romantica, in maniera assolutamente lampante.
Figlia di un pittore
costretto a fare il cabarettista per ripiego, la giovane Marceline da sempre ha
recitato nei più grandi teatri, facendo parte di opere eccelse come “Il barbiere di Siviglia” di
Beaumarchais.
Nel 1816 un evento
tragico sconvolge la sua vita: le muore un figlio all’età di cinque anni nato
da una relazione con il poeta Henri de Latouche (il grande amore
della sua vita).
Nel 1817 ha un’altra
relazione con un attore da cui nasceranno altri tre bambini, ma solo uno di
loro sopravvivrà. Sarà stimata da tanti per la sua grande forza in situazioni difficili,
e soprattutto per le sue capacità poetiche nonostante fosse autodidatta.
Paul Verlaine la definirà la poetessa più grande
del suo secolo, poiché è stata capace di svecchiare i canoni neoclassici
introducendo nelle lettere francesi una versificazione nuova (si pensi al verso
impari, che diverrà una costante in Verlaine).
La
sua opera è sensibile, delicata. Ella sa cogliere con meravigliosa semplicità
le "intermittenze del cuore"
(per dirla alla maniera di Proust).
La sua poesia è
lirica, musicale, intima, satura di significato e di dolore.
Difficile non
lasciarsi sedurre.
La poesia più
conosciuta è forse “Les roses de Saâdi”, pubblicata in una raccolta postuma.
La si trova in tutte le antologie nei licei francesi.
Non
si sa bene a chi Marceline abbia voluto dedicarla, si pensa probabilmente ad un
giovane arabo di nome Shoja’od Din Shafâ.
La
delusione di fallire nel fare una cosa con tanto amore è impressa nella poesia
con espressioni efficacissime. Le rose divengono nella poesia metafora di
un'illuminazione mistica, del risveglio da un lungo torpore, dell'essenza di sé
ritrovata nonostante l'incapacità dell'intelletto di trattenere un'ispirazione
così fugace.
Ogni
poeta in fondo cerca di trattenere a sé le proprie rose e all'improvviso se le
vede volare via; ed è forse proprio questa privazione, questa mancanza, che fa
scattare l'io lirico e lo spinge a scrivere.
Ma
cosa indica invece il nome “Saâdi” presente nel titolo?
Se
ci pensiamo viene subito in mente un luogo, il luogo dove la poetessa possa
aver trovato le rose... ma badate bene ... si tratta piuttosto di un poeta
persiano del XIII secolo!
Mushrif-ud-Din
Abdullah, conosciuto come Saâdi, ha scritto una raccolta di racconti intitolata
proprio "Il giardino delle rose" da cui Marceline ha tratto
ispirazione.
Veniamo adesso ad un’altra poesia, stavolta tratta dalla
raccolta “Elegie”.

Neanche la fredda ragione (“incerta e bugiarda”) riesce a
superare quest’attrazione irreversibile.
Con la sentenza “Ragione, non ci sono più segreti da
insegnarmi”, la poetessa dichiara che ci sono momenti in cui la sola cinica
razionalità non riesce a spiegare tutto e perciò c’è bisogno di affidarsi all’istinto,
alle emozioni. Ed in questo, pienamente in linea con le tematiche del
Romanticismo, è grandiosa.
Ultima ma non meno importante:
Quante volte ci capita di non riuscire a dormire perché
troppo presi dai pensieri? Quante volte ci piacerebbe cullarci di dolci
illusioni e immaginare ciò che avremmo potuto avere se solo tutto fosse andato
diversamente?
Eh già … quante volte!
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