È passato già molto tempo da quando ho letto per la
prima volta un libro di Hervé Guibert e mi sono ripromesso spesso di parlarne
qui sul blog. È uno scrittore affascinante e per questo non può mancare in
questo wunderkammer virtuale dove
tratto per lo più cose di nicchia, eppure curiose.
Piccolo accenno biografico per identificare l’autore:
Hervé Guibert (1955 – 1991) è stato uno scrittore, critico e fotografo francese,
omosessuale, morto all’età di 36 anni di AIDS, raccontata in uno dei suoi
ultimi libri “All’amico che NON mi ha
salvato la vita” (1990).
Il libro di cui
parliamo si intitola “Fou de Vincent”
(pazzo di Vincent), pubblicato nel 1989, edito éditions de Minuit.
La struttura del libro è particolare, molto
post-moderna oserei direi, perché racconta la storia di un amore malato a
ritroso, dalla fine all’inizio, e lo fa in maniera frammentaria, per piccoli
segmenti senza nessi logici che li colleghino l’uno all’altro. La cosa a prima
vista può sembrare una soluzione banale, che garantisce la narratività senza
fare lo sforzo di un racconto continuo e logicamente coerente, ma vi assicuro, per i miei
esperimenti letterari in prima persona, che è difficile e valido allo stesso
modo di una narrazione classica. Ovviamente si tratta di scelte stilistiche,
tutt’al più, e questo tipo di scrittura si presta a mio avviso a ricostruzioni
di vicende già di per sé frammentate, dove c’è poco da parlare della storia in
sé (magari perché comune o perché non è l’obiettivo principale dello scrittore)
ma molto invece dell’interiorità del protagonista, del modo in cui egli ha
vissuto, dei suoi pensieri spesso contraddittori.
Lo stile è molto efficace, le frasi sono spesso
nominali, brevi, concise, a tratti ambigue che lasciano intendere altro e che
spiazzano per l’alternarsi di termini volgari ed eleganti in uno stesso periodo.
Le metafore sono al limite del quotidiano, oggettivizzate, una lampada, un'illustrazione pornografica, il sudore, una danza al ritmo di Kiss di Prince, etc ...
Come ho già
accennato, dal punto di vista narrativo, la storia è molto semplice: il protagonista
(presumibilmente coincidente con l’autore, quindi Hervé) è pazzo di Vincent. Ma
il loro amore non è sano, bensì tossico dall’interno.
Vincent è più giovane, preferisce le donne ma si
accontenta dei favori che il protagonista gli fa continuamente, sessuali e non,
come un pupazzo nelle sue mani. Droga, sesso, alcool, sono questi i vizi che
coronano la loro “relazione” e che fanno di Vincent un narcisista dedito alla
ricerca solo e soltanto del proprio piacere personale. Una passione devastatrice
e masochista che può diventare amore puro, odio o desiderio crudele a seconda
dei momenti. “Che cos'era? Una passione? Un amore? Un'ossessione erotica? O una
delle mie invenzioni?”, si chiede il narratore in una delle prime battute del
libro.
Ma veniamo adesso agli estratti, per dare un’idea
complessiva del modo di scrivere di Hervé Guibert e dei suoi intenti letterari.
Riletto ieri sera con
emozione, aspettando Vincent, i "Frammenti d'un discorso amoroso": ho
l'impressione di perseguire spesso le cose indicate da Barthes.
Vincent non è disponibile:
deve andare a prendere la sua paga, e preferisce spenderla senza di me, con
delle ragazze, la carogna.
Questa voglia furiosa
(ottusa e gloriosa, lamentabile) di cazzi, e che deve essere più in generale,
di sessi, di fesse (ho sentito Vincent sognarle ad alta voce l'altra notte
mentre lo succhiavo), non è essa così astratta e primordiale come la voglia del
libro, del quadro?
Vincent stava cagando, e io ho
provato a succhiarlo: non era un vizio o la ricerca di un’eccitazione
eccezionale, ma si trattava semplicemente di un movimento amoroso.
Lui mi dice che non crediamo
alle stesse cose, perché lui non crede a nulla, né all'amore né alla
letteratura, né tantomeno a Dio, appena appena alla bellezza dell'onda o della
neve. Vuole farmi mangiare le mie illustrazioni pornografiche mentre lui, così
dice, del libro che gli ho appena regalato, divorerà i bordi prima di
attaccarsi alle parti inchiostrate, più amare.
L'essere che manca alla mia
vita: colui che saprà (s)battermi, ho creduto a lungo che sarebbe uscito da T.,
che sarebbe stato un essere compreso in lui sdoppiatosi, ma non lo è mai stato
per nulla; ho creduto a lungo che sarebbe stato Vincent, ma non lo è mai stato
per nulla. Qualche volta dubito della necessità di un'annotazione, come questa
qui, ma la scrittura fa presto cadere ciò che in lei si annunciava di tortuoso:
l'indicibile.
![]() |
Hervé Guibert e Vincent |
Lui ha ballato nella mia
bocca (*chiaro
riferimento all’irrumazione).
Su “Kiss” di Prince ballava
con il suo sesso nella mia bocca, in quel momento avrei potuto chiedergli
qualsiasi cosa.
Si, aspettarlo è delizioso,
ubriacarmi aspettandolo è delizioso (io sono, come sempre nella scrittura,
talvolta il sapiente e talvolta il ratto che lui sventra per poi esaminare).
Con Vincent abbiamo passato
la maggior parte della notte a tentare di mettermelo dentro. Ciò mi ha fatto
venire in mente le notti bianche giovanili in due, le prime in assoluto, dove
la sensualità porta allo sfinimento, dove la ricerca vana del piacere diventa
più esaltante del piacere atteso, e dove i corpi si mettono a sganciare uno
strano odore, al di là della sessualità, un sudore d'assoluto.
Ho restituito la droga
all'amico che me l'aveva procurata. (*qui il narratore lascia intendere i suoi
tentativi di allontanarsi da questo amore malato, a partire dai vizi che lo costituiscono)
Era un contatto troppo
crudele: per vedersi c'era bisogno che a lui andasse tutto male e che io invece
stessi bene. (*indice di narcisismo!)
Avevo mal di testa, gli
domandai di massaggiarmi il trapezio della mia schiena. I suoi palmi
rinsecchiti, ruvidi, screpolati dalle micosi passavano sulle mie spalle, il mio
cuore li rendeva dolci come la seta.
Mi sembra che l'ultima volta
mi abbia detto: "non sarei mai capace di farti del male".
Vincent non è venuto: non è
solo la privazione della sua carne, ma il crollo delle speranze, questo sogno
di viaggio, la prospettiva principale atrocemente otturata di colpo. Stamattina
mi sento come un disastrato.
Guardo vicino a lui delle
cassette porno con delle ragazze, gli carezzo il dorso da sotto la maglietta,
la sua mano mi difende il suo sesso, dopo una bella mezz'ora la leva, struscio
la verga da sopra il pantalone, senza riuscire a sbottonarlo, vedo ai suoi lati
una delle immagini che mi eccita di più, un ragazzo che lecca un cazzo che
entra ed esce dalla vagina, e lui si addormenta.
Stamattina, tra le lenzuola
di T. e di C., mi sono masturbato inventando un sempiterno scenario: ho il
diritto di leccare Vincent, l'abbiamo convenuto insieme, ma non di succhiarlo;
ogni volta che ci provo, malgrado questo divieto, può battermi a sangue.
Per farmi masturbare da lui,
Vincent mi obbliga a sognare ad alta voce delle maestre che non ho mai avuto. E
ovviamente, fantastica su mia sorella, me la fa descrivere, mi domanda d'incontrarla,
di portargliela.
Sogno: Vincent me lo
succhia, finalmente, riesco a mettergli il cazzo nella bocca, noto che sotto la
lingua ha delle piccole stelle bianche (*probabilmente qualche malattia o qualche
droga), devono essere scappate dal globo stellare
che avevo lasciato acceso per addormentarmi.
D'ora in avanti,
sull'agenda, per superstizione, aggiungo un punto interrogativo al suo nome (*qui il narratore
lascia intendere che Vincent non gli da certezze, che la sua assenza spesso è
ingiustificata e che l’amore che prova per lui è a senso unico)